lunedì 25 settembre 2017

Scrittura ...

“Scrivi su un muro” dice Carlo, lasciandosi andare a complimenti esagerati che mi imbarazzano … E poi Harry, Mirella, Antonella, e tanti altri. Anche mia madre, prima di morire, me lo disse, quasi me lo raccomandò. All’ospedale, dove era stata ricoverata per un infarto, mi bisbigliò: “Scrivi, Laura, scrivi … “ prima di andarsene.
La mia storia con la scrittura è a tutti gli effetti una storia d’amore. Un amore tormentato, negato, distruttivo, ma, senza ombra di dubbio, un grande amore, una passione …
Ho iniziato a scrivere tardi, dopo essermi ammalata. Ho alle spalle quaderni di scrittura diaristica, gettati nell’immondezzaio a ogni trasloco. Sfoghi, nulla di più: da quelli adolescenziali a quelli di madre, di donna che scopriva il femminismo, di donna malata, di donna invecchiata, scivolata lungo il crinale della vita senza mai chiudere gli occhi, fissando nei volti di chi mi stava accanto i segni delle emozioni che rendono vivibile o invivibile l’esistenza …
La scrittura di oggi la devo alla malattia, a quello tsunami di emozioni che ha infranto, finalmente, il muro di riserbo, la timidezza, il pudore di apparire per ciò che si è veramente. Quante volte mi sono chiesta “Scribacchina o scrittrice?” senza essere in grado  di dare/darmi una risposta…
Ho nel cassetto un romanzo finito, ciò che resta di uno gettato alle ortiche, un racconto lungo, tanto lungo da diventare un romanzo breve, e poi il romanzo quello che avrei potuto, forse?, scrivere se fossi stata in grado di finirlo. Mi ha fermato la malattia, la sua avanzata di marea nera che tutto sommerge e cancella. Il mio romanzo è come un gattino nata troppo tardi, a inverno iniziato … Per questo motivo, amici miei, godetevi ciò che scrivo come vi potreste fermare a guardare un graffito sul muro di una casa, godendovelo come fareste con una rosa sbocciata a novembre, inaspettata. Totalmente inaspettata e sorprendente … Coglietela e via…


venerdì 22 settembre 2017

VINCENTI E PERDENTI ...

Non mi sono simpatici i “vincenti”… Non amo la loro stolida felicità, sempre rafforzata dalla convinzione che alla base del loro successo ci sia la loro personale bravura. Agguantato il successo, dopo averlo inseguito per anni, si esaurisce la spinta propulsiva che ci spingeva a combattere, diventiamo ripetitivi, prevedibili e monotoni … Vuoi mettere le mille facce dell’insuccesso, il fragore della sconfitta, l’impegno che si mette nel cercare di capirne le motivazioni. Non si riflette sulle vittorie, ci si limita a viverle e a farne motivo d’orgoglio personale. Il perdente di oggi sarà il vincente di domani a differenza del vincente in auge la cui vita non potrà che peggiorare.
Il vincente è solo, quando non è male accompagnato, circondato da adulatori e falsità tinta d’invidia… Il perdente è sempre in buona compagnia: siamo in tanti a perdere: la maggioranza, che tutto è fuorché silenziosa… Dalle nostre parti si ride, si canta, si piange, si fanno progetti di cambiamento, si elaborano strategie di sopravvivenza, si spera e si lotta, insomma si vive … Non credete?

venerdì 15 settembre 2017

"Pensato" non vuol dire "detto"...

Ormai mi è chiaro, il “pensiero”non ha subito danni: scorre, lineare e consequenziale, sui binari di sempre; è la sua traduzione in parole che si è inceppata. Penso più e dico meno, se vengo interrotta quando parlo “perdo il filo”, quel vocabolo, corretto a livello terminologico, mi muore sulla punta della lingua un secondo prima di pronunciarlo e se torno al pensiero scopro che manca pure là. E’ desaparecido. Introvabile. Riapparirà sulla scena quando e come vorrà …
I miei figli mi ripetono: “Ma no, mamma, sei sempre stata così: distratta, con la testa fra le nuvole …” e aggiungono: “Ricordi quando alludendo a Santa Teresa di Calcutta la chiamasti Santa Maria di Bombay?” E ridono, quei disgraziati … Insomma sarei stata da sempre una persona che fa una cosa e ne pensa un'altra. Visceralmente dubbiosa, sempre a macinare risposte a domande che ne presentavano un ventaglio, avevo un “cervello” agile, efficiente, a volte spumeggiante, e una capacità di fare più cose contemporaneamente, mescolandole senza confonderle (multitasking?) che ora non esiste più. Purtroppo.
Dipende dalla malattia? Dall’età? E quanto dall’una, quanto dall’altra?
Il “pensato” si traduce in “detto” per consentire la comunicazione tra esseri umani, per dare consistenza alla socialità… L’imbarazzo che mi procurano questi nuovi limiti , unito ai tanti altri impedimenti di cui la malattia è responsabile, mi porta all’isolamento, più scelto che subito …
Succede anche a voi?