martedì 8 novembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°9 - Parte seconda)

La macchina filava nell'oscurità lungo il viottolo accidentato e pieno di curve. Il professore, pur giovanissimo, era il cervello dell'organizzazione. Ad attirare l’attenzione dell’interlocutore su di lui, su quel suo corpo fragile, minuto, sul volto pallido dagli zigomi pronunciati, erano gli occhi: scuri, lucidi come di febbre, capaci con uno sguardo di comunicare la sua forza, lasciando percepire la passionalità e il rigore della sua anima. In tempi diversi, sarebbe forse diventato  un attore, capace d'impersonare ogni parte, perché lui, il Professore, si calava in ogni uomo che avesse di fronte,  cogliendone la falsità o la genuinità, l'angoscia o la gioia, l'entusiasmo come la paura che si annidano nell'animo di ognuno. Nessuno sapeva chi fosse, da dove venisse e quale serie di eventi, lo avessero reso edotto così sottilmente, così implacabilmente, dell'animo umano e dei suoi mille percorsi
.Era un capo nato, il Professore, e nessuno avrebbe osato mettere in dubbio la sua autorevolezza, anche se ora dormiva abbandonato sul sedile accanto al guidatore e, raggrumato nel mantello troppo grande, sembrava un ragazzetto, svegliato dal padre troppo presto per portarlo al lavoro, strappandolo al sonno
.Viaggiarono tutta la notte tra boschi e strade secondarie, fermandosi pochi secondi per vuotare una tanica di benzina nel serbatoio, e poi riprendere il viaggio. Avevano come meta la Svizzera, ma non sapevano ancora se si sarebbero fermati in quel paese... Forse avrebbero raggiunto la Francia
.L'uomo al volante frenò dolcemente, passandosi una mano sul volto stanco.
"Devo sgranchirmi le gambe" borbottò, uscendo dalla macchina
.Il silenzio del bosco li circondava, interrotto, a tratti, da un frullo d'ali o da un cinguettio d’uccello.
"C'è ancora del caffè; ne vuole un goccio, Professore?"
Mario, l'operaio che era andato a prelevarlo nella sua casa, si stagliava, scuro e quasi mastodontico, contro i rami degli alberi che li circondavano. Incerto, nell’intrico del bosco, filtrava il primo chiarore dell'alba.
L'uomo, raggomitolato sul sedile della macchina, sembrava assorto, perso nei suoi pensieri.
"E' freddo, lo so, ma non abbiamo di meglio... "
"No, grazie, ma non perdiamo tempo. Andiamocene di qui... Non vorrei che qualcuno ci avesse inseguito: quel Debosi non molla la preda, che Dio lo fulmini!"
Mentre la macchina ripartiva, un raggio di sole s'insinuò tra i rami degli alberi, accendendone di rosso le foglie.

(continua... )