domenica 4 ottobre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Sotto la guida del Veneziano, galvanizzato da una furia omicida incontrollabile che l'aveva indotto a partire all'attacco, a testa bassa come un toro infuriato, il gruppetto resisteva. Gli assalitori cadevano uno a uno, spaventati anche dagli occhi folli, stretti a fessura, che bruciavano nel volto dal pallore malato su cui l'onda scura dei capelli, come una nuvola nera di tempesta, spioveva in ciocche scomposte, mentre sulle labbra schiumavano imprecazioni e urla che non avevano più quasi nulla di umano. Sigismondo, contro quegli uomini che gli erano balzati addosso, sfogava la rabbia troppo a lungo covata e la disperazione che gli era dilagata dentro, dandogli la sensazione di non avere più nulla da perdere. Incapace di trovare sia il coraggio di uccidersi sia la forza di ricominciare da zero, in quell'aggressione coglieva un modo, una via trasversale di farla finita. Ma il destino aveva per lui altri piani e mentre con la coda dell'occhio, menando fendenti, sbirciava intorno a sé, vide due pirati abbandonare le armi e alzare le braccia in segno di resa. Fece un rapido segno con il mento e alcuni uomini, che si erano riparati dietro a dei sacchi, abbandonarono il proprio nascondiglio, lanciandosi sui due assalitori. Pochi secondi dopo, afferrati e spinti oltre alla balaustra della nave, i due toccavano la superficie dell'acqua... Sigismondo non avrebbe saputo quantificare la durata dell'attacco, né sarebbe stato in grado di dire quanti uomini avesse ucciso, quando il comandante gli tolse la spada dalle mani dicendogli:"Si sono arresi..."
Poi le ginocchia gli cedettero e la vista gli si annebbiò, mentre scivolava a terra quasi perdendo conoscenza. Ebbe appena il tempo d'intravedere per un istante intorno a sé qualcuno che si muoveva cercando di sollevarlo. Le gambe gli ciondolavano e voci gli arrivano all'orecchio, indisponenti, fastidiose come ronzii di zanzare, mentre lo trasportavano, lo adagiavano su un letto, facendolo gemere di dolore. Cercò di opporsi, ma dalle labbra spaccate gli uscì soltanto un lamento, mentre qualcuno lo spogliava e finalmente si abbandonava scivolando nel nulla salvifico di un sonno profondo.
Quando riaprì gli occhi sentì una voce.
"Come vi sentite?"
"Bene" rispose, mentre gli oggetti intorno a lui assumevano contorni precisi.
"Avete fame?"
"Sì"
Si sollevò provando una profonda stanchezza, mentre il marinaio che stava accanto al suo letto
gli metteva davanti un vassoio e il profumo del cibo gli arrivava alle narici.
"Con i saluti del capitano"
Sigismondo mangiò di buon appetito e poi scivolò nuovamente nel sonno, anzi in una sorta di dormiveglia, mentre la porta si apriva e qualcuno entrava chiedendo sue notizie.
"E' questo passeggero che dobbiamo ringraziare per essere ancora vivi e aver salvato il carico. Si è battuto come un leone... Non l'avrei mai detto. E pensare che non volevo nemmeno imbarcarlo. La vita è ben strana e il destino segue strade che noi non conosciamo. Svegliatelo tra non più di un'ora. Tra poco dovremmo intravedere la costa".
Sigismondo, sentendo chiudere la porta, aprì gli occhi. La cabina del comandante era vuota e silenziosa. Erano usciti tutti e dal finestrino filtrava un raggio di sole. Un riverbero azzurro dava al locale l'aspetto di un acquario. Al dito di Sigismondo brillava l'anello con lo stemma de I Dellapicca: un'aquila in volo con un diamante nel becco.