lunedì 3 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°17)

 Capii subito, dalla faccia dell'infermiera, di essere arrivata troppo tardi. Mi sedetti, la seggiola era dura come fosse di ferro, la stanza disadorna, il sole, senza rispetto, entrava dalla finestra,  appropriandosi  del mio volto sconvolto e del livido immobile viso di mia madre che giaceva, quasi  spersa,  in quel letto d'ospedale troppo largo e troppo lungo per quel suo corpo improvvisamente piccolo e rattrappito.  Gli occhi, quei suoi occhi di miele, tristi come laghi d'inverno velati di nebbia, chiusi sotto il peso greve delle palpebre.
E ora?
Se n'era andata senza aspettarmi, temendo le mie parole di nuovo dure, aggressive, a frugare nei suoi segreti.  Ero venuta  a cercare la verità o le  ultime bugie, in quel giorno che il vento mi sbatteva addosso? Non l'avrei più saputo.
Telefonai a mia figlia che studiava a Bologna: avrei dovuto avvertirla, subito, appena ricevuta la telefonata dall'ospedale ma, come al solito, il mio primo pensiero era stato quello di proteggerla. Lei, mia figlia, non mia madre. Non le avevo raccontato nulla di ciò che era successo, limitandomi ad accennare a questa nuova amicizia. Mi sentii soffocare: la stanchezza e il dolore mi piombarono addosso mescolandosi ai ricordi. Singhiozzi aspri mi salirono alle la bbra e, quando l'infermiera mi pose tra le mani la borsa di mia madre, mi alzai e, senza voltarmi indietro, chiusa la porta alle mie spalle, mi allontanai lungo il corridoio.
Pochi minuti dopo imboccavo il viale che portava alla casa di mia madre, il vecchio appartamento nel quale ero nata e cresciuta. Parcheggiai ed entrai. 
Le mani mi tremavano mentre giravo la chiave nella toppa e la porta si apriva silenziosa.  Le tapparelle abbassate lasciavano l'appartamento al buio. A tentoni cercai l'interruttore della luce. Incespicai in qualcosa che stava sul pavimento e chinai lo sguardo.              C'erano documenti, lettere, fotografie sparpagliate, cocci di vetro e alcuni cassetti vuoti, gettati, in un gesto che immaginai di rabbia, sul tappeto. Mi mossi incerta raggiungendo il soggiorno: sembrava che la casa fosse stata investita da un tornado. Ma cosa avevano pensato di trovare i ladri nella casa di una pensionata? Forse perché delusi dall'esiguità del bottino aveva gettato all'aria tutto,  vuotando i mobili e rovistando in ogni luogo?
Incominciai a ridere istericamente pensando che avrei dovuto fare una denuncia ai Carabinieri, ma il dolore e la stanchezza mi appannavano i riflessi  e, dopo aver invano tentato di trovare il telefono, quando mi capitò tra le mani, mi accorsi che il filo era stato strappato o tagliato rendendolo inutilizzabile.
Sfinita mi allungai sul tappeto e mi addormentai di un sonno greve, popolato di incubi.(continua...)