giovedì 19 febbraio 2009

Maschere

"A carnevale mettiamo una maschera diversa da quella che abitualmente indossiamo e chi ci sta intorno finge di non riconoscerci. Il mondo si regge sulla finzione e il carnevale la festeggia, esaltandone l’aspetto giocoso, ridanciano…” lei concluse, didattica e noiosa come soltanto un’ insegnante sa essere. Guardò l’orologio che portava al polso: ancora pochi minuti e il suono della campanella avrebbe liberato oppressi e oppressori.
Faceva ancora freddo e il cielo che s’intravedeva dalla finestra dell’aula prometteva neve.
“Prof. domani interroga?”
“No, faremo un ripasso del programma svolto nell'ultimo mese” rispose.
“Allora potremo festeggiare il carnevale?”
Annuì, composta e misurata come sempre. Il suono stridulo dalla campanella fece scattare i ragazzi verso la porta dell’aula che, nel giro di pochi secondi, si vuotò. Un berretto dimenticato, una merendina sbocconcellata sotto un banco, la lavagna polverosa e il silenzio, davano ora alla stanza quell’aria di abbandono che l’aveva sempre immalinconita.
Prese la borsa, il registro e, senza voltarsi indietro, uscì dall'aula.
Non sarebbe più tornata in quella classe, in quella scuola: aveva chiesto e ottenuto il pensionamento anticipato per malattia.
Anche lei, come tutti, aveva finto: una serenità, una sicurezza che era stata bel lungi dal possedere. E loro, gli alunni: che reazione avrebbero avuto non vedendola? Sorrise, ironica, immaginando l’urlo di gioia che sarebbe esploso nella classe all’annuncio della sua assenza. Erano ancora giovani e sinceri. Avrebbero imparato a mentire con gli anni, qualcuno però era già sulla buona strada, non potè fare a meno di pensare ricordando nonni che morivano tre volte in un anno, per evitare compiti o interrogazioni. E rivide lo sguardo astuto del Govini, che le rispondeva guardingo, falso come Giuda: “ E’ la quarta volta che mi muore un nonno, prof.? Beh, sa…le famiglie allargate.”
Era arrivata davanti al portone d’ingresso della scuola.
La bidella, che stava spazzando in fretta lamentandosi come quotidianamente faceva per la maleducazione degli alunni che la obbligava a raccattare da terra matite, biro, carte di caramelle e chewing gum spiaccicati, la salutò: “A domani, prof”.
“A domani” rispose, sorridendo educata, il portone che si chiudeva alle sue spalle con un tonfo sordo a sprangare trent’anni della sua vita.

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