giovedì 1 marzo 2012

Sono mortalmente stanca.

Il treno correva veloce inquadrando una pianura dai colori spenti, percorsa da un vento freddo, ancora invernale. Viaggiatori infreddoliti salivano alle varie stazioni, per piombare come sacchi sui sedili e riaddormentarsi. Accanto a me un signore elegante si attaccava al telefonino cincischiando fra le carte che teneva appoggiate sulle gambe... Parlava d'affari; sembrava angosciato, incerto sulla tattica da seguire. Una ragazza dall'aria spiritata, la testa un'esplosione di capelli come onde in un mare infuriato, andava avanti e indietro, diretta forse alla toilette, trascinando le gambe, il volto da Medusa attonita sotto l'intreccio dei capelli.
Il silenzio era rotto soltanto dallo sferragliamento del treno e dagli squilli dei telefonini ai quali seguivano conversazioni brevissime, stringate. I passeggeri sceglievano di dormire, ancora per un po'. Il controllore non si vedeva: forse anche lui dormiva...
A voce bassa, per non disturbare, scambiavo qualche parola con mia sorella. Era l'unica forma di comunicazione all'interno dello scompartimento. Poi la stazione zeppa di gente: tanta e di tutte le razze. La metropolitana che vomitava persone a getto continuo in un frastuono di rumori diversi, assordanti. Il suono delle voci ricacciato in gola mentre si corre, si corre - Dio sa dove - badando solo che non ti scippino la borsetta,  non ti facciano cadere, non ti rubino il posto passando davanti nella fila - l'ennesima - in cui ti trovi ingabbiato.
Io, con le mie mani impacciate, malate, rallento la corsa. Sento salire il fastidio, qualcuno sospira, seccato. Sbuffa. A me cade il bastone, quello che si china a raccoglierlo sembrerebbe dallo sguardo più  incline a spaccarmelo sulla testa - per eliminarmi, e non solo dalla coda che si va allungando a vista d'occhio - che a porgermelo per permettermi di stare in piedi. Mi scuso. Lui non risponde: sarebbero male parole.
Dove sono quei ragazzi che davano una mano alle vecchiette maldestre? Forse soltanto sui sillabari delle elementari, ammesso che esistano ancora i sillabari...
Arranco tra scale con elevatori non funzionanti, semafori per "normali" - che non prevedono i miei tempi da anatra azzoppata - e piazze che ricordavo ampie e ora mi appaiono sterminate. I ricordi mi aggrediscono dietro ogni angolo, riportandomi a tempi lontani.
Il dentista è velocissimo.
"Se ci sbrighiamo - si fa per dire - potremmo riuscire a prendere il treno dell'una e trenta" dice mia sorella. Avrei voglia di vedere "la piccola", ma le farei attraversare tutta la città nell'ora di punta... un panino rosicchiato in fretta, in macchina. Per vedere questa madre a brandelli?
Come un soldato durante la ritirata dal Don, mi rimetto in  marcia.
Sono mortalmente stanca.

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