giovedì 22 gennaio 2009

Lettura e scrittura

Oggi su aNobii la discussione verteva sulla lettura/scrittura. Perché si legge?
Per gli stessi motivi per cui si scrive? Non credo perché, mentre chi scrive è quasi sempre accanito lettore, chi legge è soltanto raramente uno scrittore. La lettura è passiva, la scrittura attiva. Il lettore non sceglie la storia, il suo svolgimento, la scrittura usata e la conclusione. Dà una sbirciata alla copertina, facendosi un'idea dal sunto riportato sul retro, e sceglie uno scrittore.
A lui, alla sua capacità inventiva, poi, soggiace.
Il lettore è femmina, forse? Lo scrittore o la scrittrice scelgono storia, scrittura, conclusioni con cui invadono o tentano di invadere l'altro, ammaliandolo, inchiodandolo al libro dopo averne catturato l'attenzione.
Possiedono il lettore.
Lo scrittore è psicologicamente maschio? Qui mi dovrebbe aiutare qualcuno, ma ho la sensazione che leggano di più le donne. Gli scrittori? Scrivono maschi e femmine, ma pubblicano di più i maschi. Scrittori famosi? Maschi, decisamente. Hanno più tempo libero rispetto alle donne, sono meno impacciati quando affrontano una scena di sesso e, ma questa è una mia ipotesi, vivono la paternità come arricchimento. La cura materiale dei figli ricade raramente sul padre e la tempesta ormonale-emotiva che investe la madre non li riguarda.
A ben pensarci molte scrittrici di successo non hanno avuto figli.
Scrivere un libro è parlare di sé, delle proprie emozioni, ma dopo averle vissute, digerite, ridotte a qualcosa di oggettivo, emozione allo stato puro all'interno della quale ognuno si riconosca. Quasi tutti, analizzando le motivazioni che spingono alla lettura, insistono sull'arricchimento culturale. Il libro dà: nozioni, capacità espositiva, ricchezza lessicale.
E' vero, ma rende anche più forti di fronte alle difficoltà?
Io non credo sia così automatico e consequenziale.
La lettura di 'Una donna spezzata' di Simone de Beauvoir consentirebbe a una donna di affrontare meglio l'eventuale tradimento del proprio compagno?
Non sempre.
Di una storia letta può essere fatto l'uso che più ci aggrada. Si può ad esempio mettere da parte un libro perché non avalla le nostre scelte, oppure dare di quella storia una nostra personale interpretazione. La lettura è proficua? Se diverte è una gran bella cosa. Se insegna a usare con sapienza le parole rende un bel servizio. Quando consente di isolarsi dal mondo per un pomeriggio, trascinandoci affascinati in altri luoghi, altri tempi, allentando il morso del dolore, dell'angoscia o della paura, è preferibile a un antidepressivo.
Con il libro, in questa attrazione che è in tutto e per tutto una passione, si deve lottare per mantenere le proprie idee e filtrare ciò che si legge attraverso una inesausta capacità critica.
E allora il pericolo qual è? Lo scollamento dalla realtà, così difficile, faticosa, inquietante, con il rischio della fuga verso un mondo immaginario: soldatini di piombo al posto di veri soldati e principesse anziché donne reali. Credendo che un principe lo si possa trovare sempre: con il suo bel mantello azzurro e il cavallo bianco e, alle spalle, il reame in festa, pronto a accogliere la sua principessa.
Il rischio è che il tuo collega, con gli occhiali e il golf grigio nonché una leggera stempiatura sulle tempie, te lo lasci scappare perché alle sue spalle c'è soltanto il grafico in salita del fatturato del'azienda.
E il reame?
Soltanto nella fantasia di chi ha scritto.

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