lunedì 20 aprile 2009

Episodi slegati prendono il volo.

Per prima cosa buttai giù quelle storie come le ricordavo, con quel sapore d’infanzia, con lo stesso stupore con cui le avevo accolte, senza filtrarle e ridimensionarle attraverso uno sguardo adulto e dissacratorio. E’ strano questo meccanismo della memoria che seleziona i ricordi secondo presupposti che spesso, a un primo esame, risultano incomprensibili.
Infatti venivo letteralmente inondata di ricordi, ma in quella fase subentrò un fatto nuovo: i personaggi e le loro storie, già enfatizzati nei racconti infantili, ora prendevano il volo, uscivano dagli schemi mnemonici, piegandosi alle finalità del romanzo, sì perché avevo già nell’anima e nel cervello la storia di una famiglia, alla quale la mia famiglia si limitava a prestare qualcosa di sé.
Connotai i personaggi in modo da differenziarli nettamente, facendo e sfacendo le loro vite e diventando arbitra del loro destino. Ero la voce narrante, il burattinaio che tirava i fili e, senza nemmeno rendermene conto, ero diventata io la cantastorie, prendendo il posto della zia.
Piedi in terra e testa tra le nuvole, prendeva corpo l'invenzione letteraria.
Ricordo mia madre che, leggiucchiando qua e là i miei appunti, commentava disorientata dicendo: “ Ma non è andata così… “ e io che, riprendendo il gesto della zia, mi mettevo l’indice davanti alla bocca, interrompendola mentre mi sembrava di vederli, tutti questi personaggi, improvvisamente di nuovo vivi.
Catalogai i vari episodi in ordine di tempo dopo aver fatto delle schede intestate a ciascuno di loro. Ora avrei dovuto collegare tra loro i vari episodi e scrivere il capitolo introduttivo: l’incipit.
Questo lavoro mi entusiasmava: mi dimenticavo di avere fame, sete, sbuffavo infastidita sentendo suonare il telefono che mi strappava a forza da quella vita parallela in cui mi ero calata.
Ero molto distratta e le persone intorno a me se ne rendevano conto.
Qualche volta qualcuno mi diceva “Dove hai la testa?”.
Fossi stata sincera avrei dovuto dire:” A Trieste, primi anni del Novecento, in una casa piena di ragazzini urlanti e nell’anima e nel cervello di tutti i componenti di quella famiglia…” (continua)

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