domenica 20 settembre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Nello studio il silenzio era rotto soltanto dal crepitio sommesso del fuoco. Il rabbino che vedeva dilagare l'epidemia, anche se aggredito dal dolore dei sopravvissuti, doveva trovare per ognuno di loro una parola di conforto. E per se stesso quale appiglio? Gli sfilavano davanti agli occhi i volti dei morti e dei moribondi: bambini, tra cui la piccolo Angela, adulti giovani e forti come Amos, vecchi pieni di saggezza... Perché? Il suo Dio, al quale si rivolgeva, gli sfuggiva, sfocava o tuonava minaccioso in quelle notti passate a guardare il fuoco, mentre il dolore della sua gente lo passava da parte a parte, dilaniandolo. Anche Sigismondo era provato: in quelle giornate - in cui il tempo, quel suo tempo di forzato del nulla, aveva assunto una valenza diversa, dilatandosi a dismisura e consegnandolo allo strazio dei ricordi e all'incertezza dei dubbi - la sua vigliaccheria, la debolezza, la stupidità che l'avevano perduto gli erano state compagne angosciose che, non paghe di torturarlo di giorno, si erano insinuate anche nei suoi sogni trasformandoli in incubi mostruosi che gli avevano riportato alla memoria i segreti che ogni uomo ha e che nasconde nelle pieghe dell'anima per non esserne sopraffatto.
I due uomini si guardarono negli occhi, scoprendo la complicità che nasce dal riconoscersi uno nella disperazione dell'altro, e sulle labbra di Sigismondo prese voce quella domanda appena sussurrata: "La sorella di mia figlia è morta, vero?" Il rabbino annuì. "E' tutta colpa mia, il Signore mi punirà per ciò che ho fatto" disse il Veneziano mentre il vecchio davanti a lui, scuotendo la testa, gli rispondeva: "Ha altro da fare in questi giorni e... con persone come voi sarebbe un'inutile perdita tempo: siete in grado di rovinarvi la vita da solo con le vostre stesse mani". Ma non sfoderava l'abituale ironia e, rivolgendogli un'altra occhiata, concluse:" Siete fortunato e Dio sa quanto poco ve lo meritiate: Il Moro, vostra moglie e vostra figlia si sono salvati dall'incendio e sono fuggiti imbarcandosi sulla "Principessa del mare" che fa rotta per l'Istria. Ora dopo essere ritornata a Trieste, sta per salpare... " Il Veneziano, mentre un'espressione di sollievo gli dilagava sul volto stanco e pallido, guardò mervigliato il rabbi che cogliendo il significato di quell'occhiata, con un gesto della mano che indicava tutta la sua stanchezza, gli rispose:
"Queste famiglie distrutte mi straziano: sono stanco di dolore e morte. Andatevene, raggiungeteli e siate riconoscenti al Signore che in questo momento si è servito di me per darvi un'altra opportunità". Poi si alzò e lo accompagnò alla porta.
Sigismondo uscì in fretta, percorse i vicoli muti e scuri, a lunghi passi uscì dal ghetto, l'aria che gli entrava nei polmoni, il mantello che gli svolazzava nella corsa. Le strade lo ingoiavano, il cuore gli batteva forte: l'aria sapeva ora di mare, spuntavano gli alberi delle navi e si levava il vento. L'aquila imperiale apriva le ali sul pennone più alto della "Principessa del mare".

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