martedì 22 settembre 2009

Viviamo tempi piccoli

Viviamo tempi piccoli, quasi striminziti, come scampoli di stoffa venduti sulle bancarelle del mercato, anzi svenduti perché insufficienti per farci qualcosa, a meno che la nostra taglia non sia minima. Corti i pensieri, che si arenano appena vengano soddisfatti l'ambizione o il tornaconto personali, obiettivi ai quali si omologano i comportamenti individuali in una stantia ripetitività che sembrerebbe aver definitivamente bandito la fantasia.
Tutti eguali, basti pensare alle aspiranti al titolo di miss Italia, fatte, quasi fossero uscite da una catena di montaggio, in serie con la complicità anche della chirurgia plastica che gonfia seni extra large e assottiglia nasini alla francese. Fuori dagli stereotipi il vuoto. La diversità: bandita! Perché? Perché tanta paura di tutto ciò che esce dagli schemi? Dal Giappone arriva la notizia della crescita esponenziale delle agenzia che forniscono, dietro compenso, uomini e donne su misura, per tutte le stagioni, per ripristinare cliché infranti che collocano al di fuori dei modelli che sembrerebbero dare sicurezza. Si affitta un uomo per una sera per farsi accompagnare a una festa? Ma le giovani donne giapponesi non se lo sanno trovare da sole un uomo? Oltre ai cibi preconfezionati, ora anche i rapporti assumeranno questa caratteristica? E avranno lo stesso sapore di cartone dei surgelati "That's amore findus" che, tanto per dare il via all'inscatolamento anche dei sentimenti, ne evocano nel nome il più potente? Queste agenzie forniscono anche padri per un colloquio con i professori, quando il padre naturale sia assente e dimentico del proprio rampollo. E dato che nulla può dare al ragazzino in affetto e calore, essendo reclutato dalla madre dietro compenso, anche salato, orario, a cosa diavolo serve? A far ritenere agli altri che la famiglia sia unita? Tutto regolare, tutto a posto e niente in ordine? Una illusione, ennesima, di normalità o presunta tale, da acquistare a pagamento?
Così facendo, se non si istituzionalizza la finzione, la si commercializza. E' insito nell'uomo il bisogno di mascheramento, il Carnevale veneziano, che durava per buona parte dell'anno, aveva obbligato il Senato della Serenissima, nel Settecento, a intervenire per regolamentarlo minutamente. Ma allora, i secoli passano su di noi dando forme diverse a realtà individuali e interiori sempre eguali? Le generalizzazioni non hanno senso, se non quello - non direi irrilevante - di rassicurare potentemente l'individuo. Questo bisogno di uniformità, questo sconfortante conformismo che vedo dilagare intorno a me, è forse frutto della paura? E' una gioventù spaventata quella che mi circonda? Tanto spaventata da arroccarsi nella sua cittadella e alzare il ponte levatoio? E una gioventù che canta solo nel coro, che non tollera i solisti? Cresciuta a Trieste tra odi non sopiti, rancori e recriminazioni, a ridosso di un confine che penetrava profondo, incidendo non solo la terra, i paesi e i cimiteri ma anche le coscienze, giù, giù in fondo fino all'anima, non credo ai limiti, agli steccati, agli orticelli recintati con sbarre che danno soltanto un'illusione di protezione. Credo che al di là della propria cultura - come afferma Lev Tolstoj - non ci sia il vuoto, ma un'altra cultura, credo alla diversità come ricchezza di un popolo... credo che ci sia posto per tutti se riusciamo a guardare ciò che il mondo ci offre con occhi privi di paura.

3 commenti:

  1. Il diverso spaventa, costringe al confronto, chiede e propone alternative. Il diverso è scomodo ed esigente. La conformità, di contro,è quasi una nebbia vaga che ci permette il movimento automatico e spesso involontario su terreni che crediamo di conoscere...triste ma vero. Ancora una volta Lalla ha messo il dito nella piaga.

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  2. Accidenti quante questioni sollevi!
    Sì, l'uomo ha paura della morte e la morte è qualunque cosa lo aspetti dietro quell'angolo che credeva conosciuto e che imbocca per sbaglio.
    così impara presto che è meglio restare entro i confini "metaforici" ma spesso persino fisici che s'è auto imposto.
    Si tratta di nulla di diverso che la sintomatologia del paranoico.
    salvo che il piccolo recinto lo rassicura sul fatto che sono tutti come lui e rende plausibile l'uso del termine "normalità".
    ma più piccolo è il recinto più alte son le probabilità di "invasioni" esterne, e più sono le invasioni più cresce la paura e la paura non cresce solo in lui ma in tutti quei poveri disgraziati dentro il recinto cosa che lo rassicura sul fatto di essere nel giusto. Ed ecco che gli si propongono dei "mantra", cose che hanno un inizio e una fine conosciute e un andamento ciclico non importa quanto grande sia il "cerchio" del mantra ma che sia perfettamente identico a se stesso e perfettamente ripetibile e quindi prevedibile. le preghiere sono mantra, gli elenchi, molti film, senza dubbio la routine e via dicendo.
    tutto ciò a dire la verità non mi preoccupa. Ognuno scelga con le proprie risorse se condurre un'esistenza passiva e falsa o una esistenza attiva e più vera. ciò che davvero è preoccupante è il "recente" violento tentativo di istituzionalizzare bollandoli come, non solo normali ma persino auspicabili, certi comportamenti e atteggiamenti.
    Credo che l'emergenza omologazione, insomma sia passata alla fase successiva, quella del contagio anzi della pandemia.
    e, detto tra noi, mi accontenterei di curarla omologando tutti a un modello migliore!

    ivan

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  3. Sarebbe già molto Ivan, è vero. Ma in me resta forte il desiderio della "diversità", sinonimo, in ultima analisi, di libertà.
    Falilulela

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