sabato 24 ottobre 2009

Parole

Era una collezionista di parole: rare, inusuali, passate di moda. Qualcuna trovata sul vocabolario, altre rubate ai dialetti delle nonne per non farle morire con loro. A volte, quando faceva fatica ad addormentarsi, le ripeteva lentamente, ne riempiva la stanza per non lasciare spazio ai fantasmi della notte, per farne tane in cui nascondersi, trovare scampo - anche se soltanto per un istante - al fiato sul collo della vita. Era anche per questo che leggeva: per trovarne di nuove, anche se, a volte, ne inventava una. L'aveva sempre fatto e ricordava ancora quei segni blu che, negando le sue parole inventate, avevano tentato d'imbrigliare anche la sua fantasia, ma senza riuscirci. Lei diceva e scriveva ancora nerovestita e fanfarulla.
Nei giorni di festa, in cui le parole scoppiettano come pop corn, ne faceva ghirlande di cui adornarsi, coltelli quando si difendeva o attaccava, muri quando voleva tenere lontano il mondo. Per amare sceglieva quelle che scivolano in gola, in un gorgoglio dimenticato di liquori fatti in casa, macerando petali di rose selvatiche o lamponi. Un giorno cominciò a incatenarle una all'altra, per non farsele più sfuggire, per imprigionarle come principesse troppo amate e troppo belle, da sottrarre all'altrui desiderio. Fu così che cominciò a scrivere.

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