Ho sempre odiato le case ordinate, le trovo agghiaccianti, pervase da un rigor mortis che ai miei occhi, le rende cimiteriali. Case che sanno di deodorante per ambienti, con le finestre ben serrate, le tende che cadono a piombo. I mobili lucidi, senza un granello di polvere.
Qualche pianta, ma poche. Sporcano. Sono vive.
Profumo di cibo? Non sia mai.
Sfidano i rigori dell’inverno le vestali di questi templi: cucinano in cappotto, a finestre spalancate in locali asettici come gabinetti dentistici, circondate da pentole tirate a lucido, cappe aspiranti, trita rifiuti e altre diavolerie che non usano quasi mai: potrebbero sporcarsi, appannarsi, perdere di lucentezza.
Sono case, queste, nelle quali non si oserebbe mai chiedere l’accesso al bagno.
L’idea di lordarlo con quanto di più abominevole l’uomo produce non vi sfiorerebbe neanche lontanamente.
Da queste case ci si accomiata in tutta fretta, chiudendosi alle spalle la porta d’ingresso e, rituffandosi, con un sospiro di sollievo, in strade sporche di polvere e di vita.
Sì, la vita sporca.
La vita cambia. A ogni istante che passa, modifica. Noi e l’ambiente che ci ospita.
Il nostro volto. La nostra anima. Lo sguardo dei nostri occhi.
E’ in una casa come questa che io sono vissuta.
E’ da una casa come questa che io sono fuggita.
Si scappa nella notte, in silenzio, come i ladri, con il timore di essere scoperti. Fermati.
La fuga segna in modo indelebile, perché è un tradimento.
Si pensa di scegliere e invece si fugge.
Ci sono tanti modi di scappare. Le donne, spesso, ne privilegiano uno: il matrimonio.
(continua...)
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