domenica 20 giugno 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°26)

   Lugano splendeva sotto il sole, illuminando i palazzi che nascondevano i caveaux delle banche gonfi di gioielli e di mistero. La cittadina puzzava di denaro come una pescheria, anche la più linda, di pesce.  Funzionari di banca cerimoniosi e untuosi si bevevano un caffè per togliersi dalla bocca il gusto rancido che vi ristagna quando la schiena si piega troppe volte davanti alla ricchezza e le palpebre filtrano sguardi che l’invidia illividisce.
           Il caffè, i tavolini rivolti verso il lago, ruotava intorno a un cameriere impeccabile che, in attesa delle ordinazioni, lasciava scivolare  uno sguardo severo sulla mia faccia, sconvolta dalle troppe notti senza sonno, e sulla camicetta stropicciata, notando forse l’assoluta mancanza di gioielli che risplendevano invece al collo, ai polsi e alle dita delle numerose signore che, sorseggiando infusi, tisane e caffè, si sussurravano maldicenze e indiscrezioni esplodendo in risatine, subito soffocate in nome di un bon ton che le uniformava al pari delle condizioni che regolamentavano i loro conti correnti bancari. I nostri occhi, che febbricitanti e riarsi setacciavano ogni angolo, ogni movimento, ogni macchina che scivolasse lungo la strada o finestra che un raggio di sole facesse brillare anche solo per un istante, diventavano sempre più inquieti al passare dei minuti  senza che nulla accadesse, assumendo quell'aria interrogativa che le domande senza risposta conferiscono allo sguardo. 
Il tempo passava, il sole si spostava nel cielo invadendo angoli fino a quel momento privilegiati dall’ombra. Sentivo il cuore battermi disordinatamente nel petto, colpi irregolari che s’infrangevano contro le costole, quasi volessero spezzarle per esplodere da quel mio corpo troppo minuto per contenere tanta paura e tanto dolore. Il mio sguardo scivolava su Enrico cogliendo soprattutto negli occhi - lo stesso taglio, colore, la medesima intensità pensosa -  la somiglianza tra padre e figlia. Davanti agli occhi mi sfilavano in rapida sequenza immagini, una carrellata di immagini che me la riportavano alla memoria: piccolissima, appena me l’avevano messa tra le braccia, in quella Venezia che sembrava promettere solo bellezza e tenerezze  infinite, con il fiocco e la cartella al primo giorno di scuola, alle feste di compleanno con le torte sempre più ricche di candeline, di burro e di tensione e poi...  in fuga: dalla città, dal padre, dalle promesse non mantenute che il mio volto  chiuso, serrato nella rabbia e nel rancore, doveva averle comunicato. Gli anni erano passati,  lei e io sole contro il mondo, le domeniche ai giardinetti, l’attesa di quel padre che i teatri si contendevano rubandoglielo, mentre io diventavo sempre più tesa e litigavo con sua nonna sciorinandole dinanzi agli occhi una femminilità dolente, inacidita dal rancore e dalla solitudine. Ero ormai un grumo di paura, di disperazione e di rabbia, ma ero anche attenta, accorta come una leonessa in caccia per procurarsi il cibo per i cuccioli, quando, con la coda dell’occhio, notai quella falcata inconfondibile, il lungo abito che vorticava intorno alle caviglie e i capelli che brillavano sotto il sole: Gloria, decisa, stava attraversando la piazzetta dirigendosi verso il caffè dove Enrico e io continuavamo, per non dare nell'occhio e anche per calmare i brontolii delle nostre viscere contratte, a ingurgitare tè e ingoiare pasticcini.
“Eccola!”
Si sedette.
"Posso avere un caffè?" disse.
Non  le mancava la faccia tosta - pensai, mentre Enrico passava l'ordinazione al cameriere.
"Non ti dirò né consegnerò nulla, senza prima aver visto... " borbottai.
"E lui cosa ci fa qui?" chiese Gloria, squadrando  Enrico 
"E' con me, ma non fingerti meravigliata, ci sorvegliate da... da non so nemmeno quanto tempo"
Poi, mentre la voce mi si spezzava, dissi:
"Come sta Letizia? Mi auguro non le abbiate fatto del male!"
 "Alle mie spalle, sta parcheggiando dall'altra parte della piazza una macchina scura, i finestrini abbassati. Aspettano un mio cenno per far scendere tua figlia dalla macchina. Avrai modo quindi di verificare le sue condizioni. Ora tocca a te! Cosa avete trovato?" concluse, mentre i suoi occhi si illuminavano per un istante di quella luce che solo l'odio era in grado di accendere.
"Che garanzie abbiamo di riavere Letizia, dopo averle rivelato il risultato delle nostre ricerche?" chiese Enrico.
Il  tono della sua voce era fermo, lo  sguardo calmo, consapevole, scivolava sul volto di Gloria.
"Nessuna, ma non avete scelta. Posso soltanto ripetervi che non siamo assassini, vogliamo... "
"Ladri si!" la interruppi.
Si voltò lentamente verso di me e poi, mentre un 'ombra le increspava il volto pallido quasi un presagio di pianto lo attraversasse, mormorò: "Non è denaro che cerchiamo, ma qualcosa per noi di ben più prezioso" e tacque, assorta.
Il sole ci illuminò per un istante, poi l'ombra ci avvolse in un gioco di luci e tenebre quasi a sottolineare quella schermaglia di proposte e controproposte alle quali era affidata la vita di ciò che avevo di più prezioso.
Gloria, com'era nelle sue abitudini, era riuscita con quelle poche parole ancora una volta a sorprendermi.
(continua...)
Nb: ho reinserito la puntata per un errore di trascrizione dell'indirizzo su Friend Feed. Pardon!

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