giovedì 26 febbraio 2009

Chiacchieriamo?

Perché un blog? Perché c'è voglia di scrivere, ad esempio. E scrivere è un modo di comunicare e, rispetto a una scrittura solipsistica com’è quella del diario, il blog stimola, favorisce la comunicazione.
E non sarebbe sufficiente aprire la porta d’ingresso, suonare il campanello dei vicini…No, non è così semplice.
Si potrebbe suonare alle dieci di sera e bellamente dichiarare: “Mi sento un po’ solo, ce la facciamo una chiacchierata?”
Dall’altra parte chi, bruscamente risvegliato dal torpore ottuso da televisione postprandiale e arrivato ciabattando davanti alla porta d’ingresso, vi vedesse attraverso l’occhiolino, è probabile che si limiterebbe a borbottare: “ Ma cosa vuole quello st…zo del Bosini a quest’ora? Magari ha dei problemi – no! Mi sembra vispo – chissà cosa diavolo …? Io non apro”. Se poi suonassimo un campanello a caso in un altro condominio chi si sognerebbe di aprire? Inoltre le relazioni sociali sono codificate da regole abbastanza precise: non potrei presentarmi in visita in camicia da notte o tuta con cavallo all’altezza delle ginocchia di tre misure più grandi del dovuto. E una donna potrebbe suonare alle undici di sera a casa di un ‘single’, senza rischiare un attacco all’arma bianca?
Il blog è comunicazione con alcune regole sostanziali, ma pochissime formali: il blog sta codificando un modo nuovo di comunicare. Nuovissimo. Che si sta evolvendo di giorno in giorno, attraversi continui e diversi apporti. Ormai c’è un linguaggio, un know how che una parte della popolazione ha e una parte non ha. Ed è partito dai giovani, i tanto bistrattati giovani perché la mia generazione (di sessantenni) la comunicazione l’aveva resa stereotipata, convenzionale, limitata e, poi, quasi annullata, inaridita, atrofizzata. Perchè il blog non è chiacchiera e basta: è anche conoscenza, confronto, approfondimento, solidarieta e senso di appartenenza, cultura. Certo! il blog è cultura o, meglio, può esserlo. L’uomo è e resta animale sociale e nella parte giovane della società il bisogno di comunicare ha trovato altre strade, altre modalità: una di queste è il blog del quale mi sono limitata a esaminare un solo aspetto,ma che reputo fondamentale; la possibilità di essere strumento privilegiato di una comunicazione diversa, alternativa e, ancora fino a quando ce lo concederanno, fondamentalmente libera. E' chiaro che anche il blog, o più genericamente l'utilizzo di mezzi di comunicazione più evoluti che la tecnologia ci consente, richieda intelligenza e capacità critica, ma qui il discorso andrebbe approfondito secondo una visuale diversa, che dovrebbe prendere in considerazione, anche e non solo, l'approccio alla tecnologia informatica nel settore dell'istruzione. Per inciso verrà tagliata, tout court, la terza I come obiettivo didattico formativo da conseguire, e questo la dice lunga sulle responsabilità che la mia generazione ha su questo schifo di mondo che abbiamo consegnato ai nostri figli.

mercoledì 25 febbraio 2009

Amore cieco

Davanti a lei lo scaffale dei libri.
Il brutto anatroccolo!
Non aveva bisogno di specchi per vedersi: lenti da miope su un naso da Pinocchio sorpreso a mentire.
“ Andersen? “
Altro sguardo miope dietro alle lenti.
“Diluvia” lui mormorò, la parola gorgogliava nella sua gola. Come rosolio.
“ La diversità è durissima!” disse lei flebilmente.
L’onda ramata dei capelli dava al suo viso un riverbero di fuoco.
“ Ma affascinante… come un cigno”
Gli occhiali in tasca uscirono a tentoni, nella notte gonfia di pioggia.

martedì 24 febbraio 2009

Giovani

Marco Freccero rimanda, sul suo blog, a Francesco Alberoni che, dalle colonne del "Corriere della Sera " invita i giovani a spegnere YouTube e chat per una moratoria.
La prima cosa che mi viene in mente é: ci muoviamo nell’ambito delle Scienze sociali dove si parte con la formulazione di campioni che dovrebbero essere rappresentativi di una certa realtà. Ma stiamo già usando il condizionale.
Qualcuno butta giù: “I giovani non… oppure i giovani si… “
I giovani? Che età hanno e, soprattutto chi sono: una massa omogenea oppure un gruppo estremamente variegato?
Sono i ragazzi dei grandi centri urbani che vivono in periferia, quelli che risiedono nel centro storico, i ragazzi di provincia: del Sud o del Nord del Paese? Dell’Emilia “rossa” o del Veneto leghista?
Laureati, diplomati, usciti dalla scuola dell’obbligo, analfabeti di ritorno o analfabeti tout court? Figli di divorziati, di separati, di disoccupati, con madri lavoratrici o casalinghe? Padri: operai, professionisti, oppure imprenditori? Famiglie ricche, povere, poverissime, middle class. E i figli degli extra comunitari li inseriamo?
Sono giovani che già lavorano o giovani disoccupati; studenti: in corso o fuori corso.
Quali insegnanti hanno avuto: demotivati, incapaci, frustrati, in attesa di pensionamento o giovani e preparati docenti ancora pieni di sacro furore? E i loro genitori leggono o per casa hanno visto solo “ Chi” e “ la Gazzetta dello Sport” ?
E quando parlano dicono la verità o stanno mentendo spudoratamente? Leggono oppure no?
Se non si è letto fino ai quarant’anni non si legge più. E come la mettiamo con i carcerati che entrano ignorantissimi ed escono laureati?
I giovani sono: uomini, donne, gay, italiani o stranieri?
A questo punto penso ai miei figli: sono tre. Diversissimi.
Provocatoriamente mi chiedo quale valore possano avere le generalizzazioni e mi viene in mente una sola risposta: sono rassicuranti.

lunedì 23 febbraio 2009

Scrivi anche tu?

Si erano conosciute navigando, no, non in una crociera come due turiste di mezza età alla ricerca di compagnia, ma scivolando lungo le autostrade del nulla della blogsfera, lastricate di parole. Un sito in comune, dove ognuno poteva ritagliarsi uno spazio da riempire di immagini, parole e video, e un profilo, dove le parole saltavano alla gola, scoppiettando come pop corn.
Era stata la capacità di usare le parole con consumata sapienza che aveva incuriosito Giovanna leggendo quel profilo? No, non soltanto.
Avevano cominciato a scriversi.
Una donna del Sud, nata e cresciuta tra spiagge bruciate dal sole e cinte d’assedio dal mare e una donna del Nord, anima e pelle avvolte dalla nebbia degli interminabili inverni che la bora spazzava liberando cocenti, brevi estati.
Avevano avuto vite diverse, famiglie diversissime, una era diventata madre, l’altra no.
Una era estroversa - il sorriso grande che mangiava il viso illuminando quegli occhi chiari che tradivano pensieri e emozioni - traboccante di vitalità, a cui dava la stura la parlata piena, dal leggerissimo accento meridionale, dalla tonalità roca di donna forte, abituata a cantare come una rondine ubriaca di sole in una sera di maggio.
L’altra era diversa. Aveva un’aria anemica, era chiara di pelle, capelli sottili come quelli dei bambini, palpebre rosate che il sole feriva, obbligandola a strizzare gli occhi mentre si riparava il viso con la mano. Rimandava un’immagine di fragilità che gli occhi, quando mettevano a fuoco qualcuno, contraddicevano perché lo sguardo era fermo, diretto, vagamente indagatore. Non rideva, sorrideva, uno stiramento di labbra appena accennato, parlava a voce bassa. Doveva essere stata bella, ma senza saperlo e, quindi, senza acquisire quella sicurezza che una donna con queste caratteristiche abitualmente possiede.
Ad unirle in una splendida amicizia, la sensibilità scoperta, profonda come corda di violino capace di vibrare al primo tocco, e cascate di parole per alimentare la comune passione: la scrittura.

domenica 22 febbraio 2009

La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi. (Borges)

Scrittura

Ho finito ieri il mio secondo libro. Si è staccato, forse sarebbe meglio dire che me lo sono strappato di dosso, come un maglione bagnato di pioggia. Cosa ci mettiamo, in un libro, di noi che lo scriviamo? Le nostre emozioni e una storia che è, o era la nostra storia, ma che ora non lo è più.
Perché il potere della scrittura, uno dei tanti, è anche quello di cambiarla la storia, piegarla a un destino diverso. Si arriva a un bivio e invece di svoltare a destra, si prende la strada a sinistra, oppure ci si ferma. Era inverno?, e noi cambiamo il colore del cielo, e spruzziamo di margherite il bordo del fosso. E ci sediamo a riflettere, mettendo in bocca al personaggio scaturito dalla nostra penna, un monologo, una riflessione articolata, consequenziale, lucida che mai la nostra impulsività personale ci avrebbe consentito. E lo seguiamo, questo personaggio che è un nostro doppio dai contorni ancora non definiti, con la sollecitudine e lo stupore di una madre. Come madri vorremmo vederlo crescere e andarsene, indipendente e autonomo, come madri veniamo lacerate dal distacco.
Ora è lì, imprigionato in quel pacco di fogli che, stranamente, non vagano più per tutta la casa, ma sono ben impilati uno sopra l’altro,e occupano così poco spazio... e pensare che sono costati tanto lavoro, tanta fatica.
Costruire un romanzo non è facile, anche se, paradossalmente lo abbiamo già tutto scritto dentro. Dentro dove? Nel cervello, nella pelle, nell’anima. Nelle decine di osservazioni appuntate in giro per la casa: sul libro delle ricette, sulla prescrizione medica, ma anche nelle rabbie, nella leggerezza di certi momenti, nello struggimento dei rimpianti, nei ricordi che ci sorprendono o ci hanno sorpreso a tradimento Lui, il romanzo, con la sua storia, è fatto di noi, delle nostre parole, idee, speranze, tic, sogni, paure e illusioni e da noi è completamente diverso.
Come un figlio.
E come un figlio che se ne fosse andato, a conquistare il suo posto nel mondo, questa mia storia parallela che ha riempito di sé tanta parte delle mie giornate, oggi, mi manca.

sabato 21 febbraio 2009

L'ISOLA SIGNORA

Mi è arrivato il libro "L'isola signora" di Marilena Monti e di getto, dopo un paio di racconti, le emozioni che mi comunca le devo condividere con i lettori del mio blog.

E' ghiaccio che circonda la collina, mi assedia e mi protegge. Rintanata nel gelo, soffio su vetri assiderati aria che sa di mandorle. Amare. Intorno a me balenano i coltelli che han reciso l’infanzia, muri si alzan di nebbia a imprigionar gli sguardi. Scivolo lungo l’ombra del giardino, dove anche il muretto crolla, anzi rovina. E’ degli sterpi il regno, dei sassi, delle pietre e della brina. Poi mi ingoio i racconti, in fretta con quell’ingordigia da folletto che tutto vuole conoscere, che teme il pensiero che piano sprofonda, trivella e affonda e arriva chissà dove. I tuoi racconti fondono i pensieri, reclamano risate, sono rosolio e vino, e gli aranceti al tramonto tutti in fiore, e notti di velluto in cieli estivi. Leggo le tue parole, di cristallo e di luce, e dentro qualche cosa mi si incrina: è un dolore lontano, un freddo antico che ogni inverno indurisce.
Per un istante sconfitti i cieli bigi della mia terra, la nebbia si disperde…