giovedì 12 marzo 2009

Non ci sei, nè ci sarai

Non ci sei, né ci sarai. Ci sei stata: come hai potuto, come hai saputo, come tutti noi.
Da donna hai pagato il prezzo più alto, anche tu come me, come tua nipote.
Aspro il rancore ha venato di durezza anche le parole dell’affetto, le ha cristallizzate, e i cristalli si rompono, lo sai. Solo due coppe fragili sui loro steli troppo lunghi sono rimaste nella credenza del soggiorno a testimoniare ciò che era, poteva essere e non fu. Abbiamo riso, poco, ma abbiamo lottato, tanto. Troppo? E’ difficile essere donne, la bellezza è una mela avvelenata e tu lo sapevi mentre ci spiavi con quegli sguardi scintillanti, neri di rimmel, la bocca piena e il tuo profilo aristocratico che il furore rendeva tagliente. E’ difficile essere donne se non si ha almeno la fortuna di essere un po’ ottuse per poter non capire, non vedere. Se ‘la morte si sconta vivendo’ la bellezza si sconta perdendola senza averla mai fatta nostra, come una stella cadente a cui ci fossimo affidati per illuminare il nostro percorso - un giorno mi dicesti. Il filo rosso che unisce senza soluzione di continuità le madri alle figlie e alle nipoti per noi è stato catena di cui liberarsi, giogo da cui affrancarsi, eppure le madri mancano. Come la luce nelle giornate d’inverno, come un ‘bravo’ ben meritato, come una porta aperta quando suoni un campanello, come quello sguardo – irritantemente critico – che per una vita ti sei sentita addosso e che ora non c’è più. Stupita verifichi che non provi sollievo, oh no!, soltanto la sensazione che a nessuno gliene freghi, più di tanto, di cosa tu faccia o dove tu vada, mentre tu non mi mollavi, mai! E, vuoi ridere?, anche di questo ho nostalgia…

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