martedì 26 maggio 2009

I Dellapicca

Il Moro, che aveva raggranellato qualche soldo al porto trasportando i sacchi di un carico appena giunto via mare, ordinò da mangiare e da bere, mentre all’interno del locale gli avventori osservavano quella coppia, padrone e servo, con malevola curiosità.
Il Moro sollevò la testa e i suoi occhi si posarono, per un lungo istante, su Sigismondo che, stizzito, gli chiese:
“ Cos’hai da guardarmi?”
“ Ha deciso cosa fare?”
Il viso arrossato dal sole, non sbarbato e stanco del veneziano, si contrasse in una smorfia, mentre nello sguardo affiorava lo sgomento e le mani appoggiate sul tavolo si contraevano nello sforzo di contenerne il tremito.” Devo trovare qualcuno a cui vendere…sai cosa intendo, ma non sarà facile. E’ l’unica ricchezza che mi rimane, poi finirò come questa gentaglia…”
Il Moro gli rispose:” E’ sano e vivo: non è poco!”
“ Non capisco perché perdo tempo a parlare con te…” borbottò Sigismondo
“ A proposito di quello che sappiamo, sono andato al porto per tastare un po’ il terreno e ho saputo di certi ebrei che comperano la roba senza fare troppe domande, anche se non pagano molto...Allora cosa vuole fare, signore? Ho già chiesto i loro indirizzi.”
Sigismondo, colpito dall’efficienza del servitore, fece spallucce, non prima di aver chiesto:
“ Te li ricordi a memoria gli indirizzi?”
“ Li ho scritti con il carbone, sul lato esterno degli zoccoli” e, così dicendo allungò, quasi volesse sedersi più comodamente, la gamba fuori dal tavolo, mentre il veneziano lo guardava stupito.
“ Come mai sai leggere? Non me l’avevi mai detto”
“ Sono molte le cose di me che non conosce” gli rispose il Moro.
“ Ho notato che ti muovi a tuo agio in qualunque ambiente… Cosa facevi prima di diventare un pirata e cosa ti ha spinto…”
“ Mia madre era una zingara montenegrina e mio padre era un maghrebino. Sono nato sul veliero che riportava in patria mio padre e la sua giovanissima moglie, che morì nel darmi alla luce. Mi salvai soltanto perché una tunisina, che viaggiava con un figlio che ancora succhiava il latte materno mi sfamò, impietosita. Lei era rimasta vedova con un bambino appena nato e mio padre le offrì ospitalità nella sua casa. Fu lei a crescermi, come una madre..”
Il Moro tacque, pensieroso.
“ Anch’io sono cresciuto senza uno dei genitori, mio padre morì combattendo contro gli Spagnoli: era un uomo coraggioso, appassionato musicista e uomo di lettere. Sono cresciuto tra le gonne delle donne” e, ridacchiando concluse “ forse è per questo motivo che le amo, tutte!”
Il Moro lo guardò e sussurrò: “ Chi le ama tutte, non ne ha mai amato nessuna “ , ma il veneziano non lo stava più ascoltando perché, alzando gli occhi, aveva visto affacciarsi, scostando la tenda che copriva una porta che dava sul retro della locanda, una donna.
Era giovanissima, vestita semplicemente con un abito grigio coperto da un grembiule. I capell, di un biondo chiarissimo, lunghi e annodati intorno al capo, facevano risaltare il volto pallido. Passando di tavolo in tavolo, cominciò a raccogliere piatti e boccali. Gli occhi degli uomini la seguivano e non soltanto per la bellezza del volto e l’eleganza dell’incedere. C’era in lei qualcosa che incatenava l’attenzione. Paradossalmente lo squallore della bettola incorniciava, esaltandola, la sua bellezza. Passava tra gli uomini altera e inaccessibile e nessuno avrebbe osato allungare una mano su di lei: forse per quel viso da madonna portata in processione? O per quello sguardo, serio e conscio: da donna, non da ragazza? Un uomo le fece un complimento: lei si fermò e lo guardò in silenzio, un accenno di sorriso sulle labbra quasi si scusasse, con grazia, di non voler parlare. Lo fissò fino a quando l’uomo, impacciato, borbottò alcune parole per giustificarsi.
Solo allora proseguì, l’aureola bionda dei capelli che brillava nell’oscurità del locale.
(continua...)

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