Non ho mai amato l'appartenenza. Perché? E' forse una questione di indole? O è legata alle prime esperienze formative del bambino? Un'ipotesi non esclude l'altra e di conseguenza sono venuta al mondo con questo gusto/passione della libertà che, in seguito crescendo, è diventato scelta dopo aver passato l'infanzia e l'adolescenza in una famiglia chiusa e controllata. Nel mio immaginario la Rete era uno spazio illimitato e libero da condizionamenti, una specie di Far West virtuale che dell'America, la sua culla, aveva preso il meglio: il coraggio, lo spirito d'avventura, la voglia di libertà dei pionieri. E fu con questo retroterra reale e immaginario che mi accostai al computer. Ho iniziato tardi, con grande difficoltà pratica, senza avere mai usato nemmeno una macchina da scrivere e non mi vergogno a confessare di avere imprecato e pianto, ma la percezione che il digitale fosse il futuro, la cocciutaggine e il tempo a disposizione (esaurito quello degli impegni familiari e professionali) riuscirono ad aver ragione anche del computer.
Mi ritagliai uno spazio su MySpace e incominciai ad annusare l'aria, arredando il mio salotto virtuale. Mi si chiedeva di tratteggiare un profilo, di condensare ciò che sono, di rendere note le mie passioni in un paio di righe. Potevo essere ma avrei potuto anche inventarmi creandomi una vita alternativa: immaginaria o falsa ma spendibile solo sul web. Una vita virtuale. Chi sarebbe mai andato a verificare i miei dati, le informazioni che avevo fornito? Nessuno. Capii allora che la Rete mi avrebbe richiesto un supplemento di capacità critica e la necessità di andare alla fonte dell'informazione, una miriade d'informazioni da utilizzare previa verifica senza darne per scontata la veridicità. Cominciarono a fioccare le richieste di amicizia e in brevissimo tempo mi ritrovai a intrattenere rapporti con decine di amici. Virtuali come i rapporti, che si esaurirono in auguri natalizi, pasquali, di compleanno...un tourbillon di auguri ai quali la tecnologia digitale forniva font e altre diavolerie che rendevano il tutto molto gradevole esteticamente ma privo di consistenza. Sono passati tre anni da quando ho iniziato ad andare in Rete e ho instaurato un rapporto autentico, di amicizia, con tre persone soltanto. Si profila all'orizzonte la possibilità di crearne un altro. E il resto? Stereotipato, ingabbiato e scontato.Ma questo non è ancora il problema più serio. A quel punto, dopo aver girovagato per mesi su blog altrui ne aprii uno mio. Sempre salotto era, ma questa volta spazio autentico di libertà, tanto che il mio primo post lo intitolai "La mia stanza virtuale" parafrasando la ben nota Virginia e la sua, questa sì identica alla mia, fame di libertà.
Il blog mi ha dato tanto, tantissimo, ma questo è un discorso a parte che merita un post a sé. Ci risentiamo. (continua...)
Anch'io mi sono fatto attrarre dall'idea che rete sia uguale a libertà. Ci credo ancora, cerco di usare il mio spazio così: con rispetto di chi eventualmente legge e con libertà. Poi capita anche di trovare spazi più orientati verso cose diverse ma anche quelli sono spazi di libertà o, meglio, modi di vedere "liberamente" il mondo.
RispondiEliminaPer ora adoro questo spazio di voce possibile che la rete ci dà. Il resto lo costruiamo noi. Ognuno. E le appartenenze non piacciono troppo nemmeno a me...
ciao
"La libertà è una gran balla se non te la mettono subito in spalla"...
RispondiEliminaDevi essere abituato, gradualmente,
fin da bambino a essere libero, ad assumerti la responsabilità delle tue scelte.
Nelle appartenenze si delega al "capo", ci si deresponsabilizza, si diventa amici degli amici. E'così che ha inizio la deriva che porta a quel fenomeno tipicamente italiano che è, nel sociale, la mentalità mafiosa e, nel privato,
quel "tengo famiglia" che giustifica ogni compromesso.