Cosa starà facendo la Signora delle steppe? Ululando rabbiosa mentre plana sul mare azzuffandosi in un urlio di onde infuriate e sibili che evocano i misteri degli abissi? O se ne starà rintanata, immersa nella noia che le rimanda quella città così sfacciatamente bella da sembrarle finta? Trieste si starà addobbando di luce chiara per rendere il mare uno specchio scintillante? E il Carso sarà ancora lì a sfidare il vento, bianco di rocce e di gabbiani, con le sue osterie a offrire asilo a chi si alcolizza sfornando vitz a getto continuo mentre riemergono i ricordi dell'antico splendore?
A Natale noi cugini mangiavamo pupazzetti di marzapane mentre le donne affogavano nella preparazione del presnitz, della putizza, della gubana... Il capretto arrostiva e nella cucina azzurra il nervosismo per la preparazione del cenone natalizio s'infrangeva, esplodendo in sgridare aspre, sui nostri capricci. Qualche scappellotto finiva sulle nostre mani di bambini che quatte, quatte si allungavano sulla pasta appena tirata o arraffavano mandorle tritate e uvetta.
Le donne giovani ridacchiavano tra loro strizzandoci un occhio mentre le vecchie, il grebiule di grisaglia legato stretto, tramandavano i segreti di famiglia che davano come risultato quei dolci pastosi, ricchi e speziati che scatenavano i complimenti dei maschi, facendole arrossire di piacere, gli occhi che brillavano dietro agli occhiali che conservavano una traccia di farina.
Fuori calava bianca la neve, in cucina sfarfalleggiava la farina e le confidenze volteggiavano nell'aria. Mia madre, a volte, piangeva e zia Maria sospirava allungandole mandorle e zibibbo. Scuoteva la testa e mi mandava a giocare con i cugini. Andavo in salotto, dove gli uomini discutevano e, quando le voci si alzavano di tono, quella di mio padre le sovrastava tutte. Questo significava che aveva cominciato a parlare di politica e che, accendendosi una sigaretta dietro l'altra, avrebbe cominciato a camminare avanti e indietro lungo il salotto della nonna, mentre le facce degli zii si sarebbero fatte tese denotando una crescente irritazione.
Da lì venivo spedita di nuovo a giocare con i cugini mentre una sensazione di disagio mi saliva dentro. Afferravo al volo quelle frasi sussurrate "La politica, la politica... quasi quasi el perdeva el posto co l'ultimo sciopero! El ga le mule de far cresser" e poi "No bastava comunista" diceva zia e l'altra sorella concludeva "Anca sindacalista e noi qua con Tito drio l'angolo..."
La zia Eugenia a tavola, mentre lui le parlava di marxismo, raddrizzandosi sulla seggiola, compunta diceva "Io sono per il Re!" aggiungendo "E' inutile, noi abbiamo respirato se non l'aria il ricordo dell'Impero" e zia Maria, spazzolando l'arrosto di capretto, lei che L'Impero l'aveva visto aggiungeva "Si mangiava cinque volte al giorno con Francesco Giuseppe" e quamdo io petulante chiedevo "Chi era Francesco Giuseppe?" mi mettevano in mano un dolce e mi mandavano fuori dalla stanza. Ovviamente a giocare con i cugini, mentre la bora s'infilava, incurante dei doppi vetri, a riaffermare la sua signoria sulla città sorridendo di quei mille anni di storia, per lei solo uno stormir di fronde, dell'Impero.
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