Mio Dio, quanto ho scritto: centinaia di post per placare un desiderio di scrittura che mi sono portata dentro per una vita. L'ho affogato, ho tentato di affogarlo in una vita faticosa fatta di tre figli e un lavoro e... una casa, perché ogni tanto anche quella andava sistemata, anche se alla meno peggio. Ma non è morto, anzi, paradossalmente, acquattato in un angolo come un animale selvatico pronto a balzare sulla preda, si è rinvigorito. E quando ha fatto capolino, prima educatamente e poi, ignorando ogni regola di bon ton, travolgendo come una fiumana inarrestabile quella che fino a quel momento era stata la mia vita, mi ha obbligata a scrivere, imponendomi come mezzo tecnico di espressione, date le mie difficoltà, il computer. E così, io che sul pc sono un disastro sono stata costretta a sciropparmi anche lezioni di computer.
Sono partita con una favola, o forse con alcune filastrocche, molto ingenue, rime che allacciavano in un abbraccio mortale cuori a amori e simili amenità, ma erano i primi passi, incerti come quelli di un lattante. La favola la ritrovai anni dopo su Blogbabel, sì quello stesso sito che mi avrebbe tolto 2000 punti in botto solo esprimendo sulla mia scrittura attuale un giudizio non certo lusinghiero. Ho provato di tutto: post, racconti, raccontini, racconti lunghi, tanto lunghi da indurmi a confezionarli in puntate. Poi l'idea di un romanzo: la storia l'avevo già tutta in testa, ambientata a Trieste, primi anni del Novecento, sulle note dei valzer viennesi resi vorticosi dalla bora. E tutta l'infanzia cominciò a risalire, lenta e inarrestabile insieme alla parlata dialettale, al rosario purpureo che mia nonna sgranava borbottando preghiere in una lingua sconosciuta, mentre le figlie e i figli nascevano e crescevano in quella città che da provincia, piuttosto turbolenta dell'impero asburgico, sarebbe ridiventata italiana, lastricando di morti e trincee il Carso alle sue spalle. Quell'infanzia in una babele di dialetti e lingue diverse cercava uno spazio autonomo, cercava una voce che la raccontasse. Io le diedi la mia. Era nato Confine immaginario. Poi scrissi I Dellapicca, romanzo breve a puntate sul blog. Ogni tre o quattro giorni una nuova puntata inventata sul momento. Di sana pianta. Entusiasmante e con lo sguardo d'oggi importante nella mia evoluzione e esplorazione di ogni modalità narrativa, perché espressione dell'invenzione letteraria che fa sue le emozioni di chi scrive ma slegate dal contesto che le ha motivate. Lo riprenderò in mano per rivederlo perché necessita di un lavoro serio in tal senso, ma rimane per me l'espressione di un passaggio fondamentale per chiunque voglia cimentarsi nella scrittura: il passaggio dal vero,anche se adattato a esigenze fantastiche, al verosimile, il distacco dalla realtà alla ricerca di un espressione totalmente fantastica. Sto lavorando all'editing di "Confine immaginario"...
Se oggi, giorno del mio compleanno, la tentazione di redigere un bilancio si fa sentire, un unico commento mi viene spontaneo: "La vita sorprende. Sempre!"
Che fortuna, Laura.
RispondiEliminaChe grande fortuna avere avuto il modo, il tempo, e la volontà di coltivare una parte di te giovane- solo perchè ancora inesperta, che non si era confrontata con altri che te o pochissimi intimi.
Non è da tutti, sai? Come non è comune la tua voce.
Un abbraccio di compleanno, ma soprattutto di fiera amicizia.
s
Cosa posso dirti se non grazie?
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