mercoledì 15 aprile 2009

Gente di mare

Era già una ragazzina la prima volta in cui vide Venezia. In gita scolastica, affrontava un viaggio senza i suoi genitori. C'era stata una levataccia alle prime luci dell'alba, il latte ingoiato in fretta, le raccomandazioni sulla porta, il bacio frettoloso di sua madre e poi, via di corsa alla stazione delle corriere. Durante il viaggio avevano chiacchierato, cantato, fatto un po' le sceme con i ragazzi dell'altra classe che partecipava alla gita. Le insegnanti, asserragliate nei posti dietro al guidatore, che dormicchiavano presagendo le corse notturne che non avrebbero consentito a nessuno, clienti dell'albergo compresi, di dormire.Venezia li aveva accolti con una di quelle giornate primaverili, piene di luce, che la rendono disarmante nella sua decadente bellezza. Come belletto troppo acceso su guance cascanti il sole ne scopriva le magagne, le muffe verdastre, i colori scrostati quasi bruciati dalla salsedine, ma ne esaltava anche gli ori e gli smalti accendendo di  luci i suoi palazzi. Lei camminava stupita dalla diversità del luogo rispetto a tutte le altre città che aveva conosciuto: era una città che vibrava di suoni dall'ansimo dei vaporetti alllo scoppiettio dei motori dei motoscafi.
Stavano seguendo l'itinerario nell'intreccio delle calli che li avrebbe portati a Piazza San Marco, quando una casa d'angolo attirò la sua attenzione. I muri scrostati lasciavano intravedere vari strati di colore e, in alcuni punti, mettevano a nudo pietre e mattoni corrosi dall'umidità. - La porta è sull'altro lato del vicolo, - pensò, - e accanto ad essa c'è una finestra con il davanzale ingombro di piante aromatiche. Il vicolo, brevissimo, porta a una piazza minuscola, quadrangolare al centro della quale campeggia un pozzo: in marmo, il bordo rotondeggiante che sostiene un arco in ferro battuto attorno al quale si avvolgono, sbalzati a mano, tralci d'edera. Sull'altro lato della piazza, due gradini di pietra potano all'approdo delle gondole. Ce n'è una nera, lussuosa, tappezzata di velluto color cremisi...
Svoltò nel vicolo, il cuore che le batteva forte, le mani strette a pugno nelle tasche del maglione. La piazza era lì, come l'aveva immaginata, avvolta in un silenzio irreale. Non c'era...oh sì, non l'avevo notato quel vecchio seduto su una sedia impagliata, di quelle che abbondano nelle osterie di paese, curvo, incartapecorito, le mani, deformate dall'artrite, appoggiate in grembo, un basco in testa. Lo sguardo, negli occhi assediati e vinti dalle rughe, sembrava fisso su qualcosa che soltanto lui fosse in grado di vedere.
Si avvicinò, lui le lanciò un'occhiata di sghembo mentre, impacciata, accennavo un saluto con il capo.
" Sei venuta" le disse.
" Come? " borbottò in risposta, stupita.
" Volevo vederti prima di morire".
" Ma...chi è, che cosa sta dicendo? " domandò spaventata.
" Vieni da una città di mare" Non era una domanda, ma un'affermazione alla quale lei fece seguire, inquieta, la sua domanda:" Come lo sa?".
" Dai tuoi occhi: noi, gente di mare, abbiamo l'avventura nello sguardo, che non teniamo mai basso, che piantiamo in faccia a chi ci parla. Noi, abituati a spaziare, la libertà ce la portiamo nell'anima di cui lo sguardo è la via d'accesso. Ricordati che sei nata libera e non permettere a nessuno di chiuderti in gabbia."
Sentii uno scalpiccio di passi alle mie spalle e una voce "E' da un'ora che ti cerco! Dovete stare tutti insieme...Cosa ti è saltato in mente..."
" E' successa una cosa stranissima" rispose, voltandosi verso l'insegnante che era ormai alle sue spalle, " lo vede questo signore?"
" Chi? Qui non c'è nessuno. E ora non metterti a raccontare storie, a cercare scuse..."
Si voltò, non c'era nessuno. Soltanto un gatto si strusciava contro il muro.
Nella piazzetta bionda di sole si udiva solo il sussurro dell'onda che instancabile s'infrangeva, aggredendoli, sui palazzi che affondavano nell'acqua.

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