mercoledì 15 aprile 2009

"VINTAGE"

Recuperare un abito di sartoria meravigliandosi dell'accuratezza del cucito, della maestria del taglio, della qualità della stoffa, è già un modo di ribellarsi a chi ci vorrebbe tutti eguali, livellandoci verso il basso, per controllarci meglio. Erano abiti fatti per durare - non a caso sono ancora qui - abiti da immortalare nelle fotografie di famiglia, da conservare con cura, da riporre con la naftalina d'inverno e i mazzetti di lavanda nelle altre stagioni. Ho un'amica che veste "vintage". Raffinata e inconfondibile, non vagamente demodée, ostentatamente diversa, mi ha insegnato la bellezza del kitsch. Io, ragazzina piccolo borghese, seguivo 'la Moda' negando il mio gusto un po' eccentrico e la mia creatività. E' stato liberatorio uscire dagli schemi, ritrovando abiti che hanno una storia perché della Storia fanno parte. Chi ha la mia età, ad esempio, non potrà non legare i sandali con la suola ortopedica e i calzini corti, ai quali venivano abbinati, agli ultimi durissimi anni della Seconda guerra mondiale, alle mamme o alle nonne che, in bicicletta andavano nei paesi, nelle case dei contadini, abitini e tovaglie ricamate nelle sporte, da barattare in cambio di uova e pacchi di farina. Furono loro, le donne, ad assicurare la sussistenza alimentare alle famiglie dopo l'Otto Settembre, quando molti uomini si nascosero, altri andarono in montagna con i partigiani, tanti vennero fucilati o deportati...
Se l'abito è travestimento e maschera, scegliamo maschere raffinate e personali. Sarà anche un modo per rinsaldare quel filo rosso che lega senza soluzione di continuità le madri alle figlie, alle nonne...Indossare certi abiti, sparire sotto cappelli a pagoda era "crearsi un tipo?" E l'alter ego o l'avatar o il nick name non sottintendono forse lo stesso bisogno di mistero e mascheratura?

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