Era sottile ma elastico, le gambe nervose con quei piedi che tu una volta, ridendo, avevi definito "da santa" e io da quel momento non li aveva più odiati, quei miei piedi nervosi, sempre pronti alla fuga, che mal sopportavano quelle mie pause, accartocciata e quasi fatta su nella coperta a leggere. Era schivo, non amava la luce bianca dell'estate, nemmeno quella fasulla della lampada che sembrava svelare tutto di lui, ogni rossore, ogni traccia di stanchezza, l'impronta che ogni anno il tempo lasciava sulla pelle, all'inizio un'ombra appena, poi una ruga, quindi un marchio a fuoco per farlo scomparire, oh non dal mondo, dai tuoi occhi che solo quel marchio avvertivano dell'ectoplasma trasparente che l'aveva ingoiato.
Era però ancora forte: un po più lento, più paziente nell'attesa, meno insofferente alle regole e più attento, capace di sguardi obliqui, diretti, lunghi e capaci di cogliere il particolare, di soppesarlo, indifferente alla corsa degli altri intorno a lui. Più autonomo nelle scelte. Quando ancora poteva scegliere, lui, di tenere testa alla vita. Era. Era tutto ciò che più non è. Lui.
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