Una vita, in fondo, si compone di momenti, scaturiti da scelte, imposte o subite, che determinano la qualità di quella vita perché la quantità è data soltanto dallo scorrere dei giorni che collegano, in fila come soldatini tutti eguali, un momento all'altro. Un collage d'immagini fissate nella memoria a perenne ricordo di emozioni profonde in cui, per evitare di esserne travolti, l'attenzione si concentra su particolari apparentemente irrilevanti che per tutta la vita attraverso un suono, un profumo, un sapore ci riporteranno di colpo a quel momento.
Quella tonalità di luce, che pervade l'aria di languore e annuncia l'autunno, sapeva di libri freschi di stampa e quaderni nuovi e, tiepida e raccolta, filtrava attraverso le tapparelle danzando sulla parete. Alla mia sinistra il grembiule, il fiocco e la cartella. Tutto nuovo, lustro per quel mio primo giorno di scuola. E, annidata dentro, la paura di un cambiamento che mi avrebbe strappato all'asilo delle suore, ai compagni che conoscevo, ai giochi sotto il sole nel cortile che lasciva intravedere l'ossatura di due case bombardate.
E' odore di scuola quello dei libri che annuso nello sfarfallio delle pagine fresche di stampa che sfoglio... La scuola, fondale privilegiato di tanta parte della mia vita, con il suo rituale di campanelle che squillano a sancirne la cadenza dei tempi e la polvere di gesso che ti entra nelle narici . L'ho lasciata così come si lascia un amore, conservando sulla pelle l'estraeità di quell'ultimo sguardo che ci scivola addosso e che ci riconsegna all'anonimato della folla. Con dolore, ma anche rabbia. Profonda e mai più tirata fuori.
La guerra è invece una madonna di coccio. Scheggiata. Attirava la mia attenzione, facendomi sospendere il gioco nel cortile delle monache, all'asilo. E io, che ero già allora una bambina pensosa persa in un suo mondo fantastico, ricordo che mi fissavo spesso su quello che restava di una camera da letto dipinta d'azzurro che sembrava un riquadro di cielo in quella casa bombardata che vedevo oltre la recinzione del cortile. Nessuno l'aveva staccata dalla parete, lasciandola lì a custodia delle rovine e nella mia memoria a ricordo incancellabile della guerra.
La strada sotto casa era piena d'ombra e io la percorrevo in fretta, i tacchi che picchiavano sull'asfalto. Anche il cuore picchiava contro le costole. La luce del lampione spioveva dall'alto come una corolla e lui, il mio primo ragazzo, le mani in tasca, i capelli biondi e chiari come quelli di un bambino, aspettava... Protetti dall'ombra della sera, ci baciammo contro il muretto di un giardino. Il suo maglione rosso accendeva la sera, aspra di vento e umidità. Mi avrebbe lasciata dopo pochi anni, gli occhi azzurri taglienti che mi fissavano come se non mi avessero mai vista. La camicia sudata che mi rimandava l'odore della sua pelle che intravedevo tra bottone e bottone, mentre lui mi diceva che si era innamorato di un'altra e le primule sul bordo del fosso erano gialle come la rabbia in quella primavera lontana in cui scoprivo il tormento della gelosia e la stupidità del possesso.
Tulipani di nuovo gialli e rose bianche che il vento scuoteva infrangendosi sui vetri della sala parto... A Trieste i neonati li porta il vento che ti tiene sveglia a sentirne il respiro aspettando l'alba.
E altre immagini si aggiungono a infittire i ricordi, mentre il tempo se ne va e la memoria del presente si fa labile, un po' imprecisa e il passato sembra più ricco, vivido, bello ma è soltanto che siamo passati dal tempo del fare a quello del ricordare. Dalla giovinezza alla vecchiaia, dal vento alla nebbia spessa e umida che tutto ingrigisce della Padania.
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