Su Trieste soffiava il vento. A folate, portava l’odore del mare fin lassù, sul sagrato della chiesa medioevale che si stagliava, con il campanile a lato, contro l’azzurro del cielo, quel cielo lustro e terso che solo le città ripulite dalla bora conoscono.
Nell’aria voci si rincorrevano, qualche risata volava via, perdendosi tra le lapidi del cimitero che s’intravedeva oltre la chiesetta.
Lo sposo attendeva, l’abito scuro troppo nuovo e la cravatta color grigio argento che gli dava una sensazione di soffocamento.
Rideva spesso, troppo.
All’interno della chiesa, l’organista provava la marcia nuziale, spaventando i colombi che si aggiravano sul sagrato snidando chicchi di riso sfuggiti alla scopa della perpetua nel matrimonio precedente.
La sposa tardava.
Qualcuno guardava l’orologio.
Una linea invisibile separava gli uni dagli altri: due gruppi si distanziavano, diversi nell’aspetto fisico, nella parlata, nell’atteggiamento. Gente di mare, da una parte: alta, chiara di occhi e di capelli, il dialetto molle, privo di doppie e strascicato, che lasciava traccia di sé anche nell’italiano che affiorava quando si rivolgevano a persone dell’altro gruppo.
Gente di terra gli altri, discendenti di razze montanare, la corporatura solida che negli anni s’inquarta. Scuri di occhi e capelli, bruni di pelle. La parlata meridionale, il tono della voce più alto, un’arroganza nei gesti che ne tradiva l’appartenenza sociale. Impellicciate le donne, i cappelli trattenuti a stento con la mano per evitare che il vento li strappasse facendoli volare nel cielo come aquiloni.
“Eccola!”.
Una macchina, sbucata da dietro l’angolo della stradina che a tornanti saliva dal mare fino alla chiesa, si avvicinava lentamente.
Le ruote, frenando, emisero uno stridio che si confuse con i versi rochi dei gabbiani, mentre la sposa allungava il piede fuori dalla macchina.
Alta e bionda, indossava un cappotto a ruota che non riusciva a nascondere una rotondità sospetta. Tra le mani roselline; sui capelli, annodati e ricascanti a boccoli sulla fronte, una trina preziosa incorniciava il volto giovane, intatto.
Il padre della sposa si avvicinò per darle il braccio, mentre l’organista attaccava con la marcia nuziale.
La sposa, impaziente e poco ligia al cerimoniale, avanzò lungo la breve navata ridacchiando.
Le fotografie, scattate durante la cerimonia, l’avrebbero immortalata in bisbigli, risatine trattenute a stento e stupore. Negli occhi, passeggero come un lampo estivo, lo sconcerto che solo un osservatore molto attento avrebbe potuto scorgere.
“Finché morte non vi separi” tuonò lo zio prete che dal pulpito officiava il rito, lo sguardo che scivolava collerico e indagatore sulla sposa.
Un raggio di sole s’insinuò dalla vetrata trafiggendo la sposa e illuminando il cristo dolente davanti a lei.
Un brivido la scosse.
Si voltò a cercare sua madre con gli occhi incrociandone lo sguardo, ma senza esserne rassicurata.
“Così sia”.
Baci, abbracci, mani sudaticce.
Profumo di tuberose. Sfatte.
L’odore di un matrimonio è quello di un funerale. (continua...)
L'odore della scelta non è sempre facile, soprattutto se fatto in età in cui la scelta è data dal contorno sociale: ci si sposa di bianco, in chiesa, confetti, riso, baciabbracci, ecc perché è così che si è sempre fatto.
RispondiEliminaNoi ci siamo sposati alla bella età di 40 anni, con due pargoli che già sgambettavano abbondantemente, rigorosamente in Comune e con 10 invitati perché ci piaceva l'idea di avere una ricorrenza da ricorrere...
Insomma, capisco che tanti bei matrimoni poi si trasformano in vite meno belle e appassionanti di come potevano sembrare. E' anche molto coraggioso rendersene conto e saper dire: "Ok, stop, basta così". Il dolore, forse il senso di fallimento ma anche la liberazione di saper riconoscere l'errore e superarlo con una condizione di nuova libertà. Poi capisco anche che le mie son parole e esserci dentro deve essere molto difficile: ma nessuna tragedia matrimoniale è mortale!!! Ciao
Ci siamo sposati sul'onda dei bisogni scambiandoli, in assoluta buona fede, per desideri...
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