venerdì 8 gennaio 2010

Scuola mon amour

Una vita, in fondo, si compone di momenti, scaturiti da scelte, che determinano la qualità di quella vita perché la quantità è data soltanto dallo scorrere dei giorni che collegano, in fila come soldatini tutti eguali, un momento all'altro. Un collage d'immagini fissate nella memoria a perenne ricordo di emozioni profonde in cui, per evitare di esserne travolti, l'attenzione si concentra su particolari apparentemente irrilevanti. Per tutta la vita basteranno un suono, un profumo, un sapore a riportarci di colpo a quel momento.
Oggi ho aperto, sulla prima pagina, uno dei libri che ho trovato sotto l'albero di Natale. Un'insegnante la protagonista, e... improvvisamente, socchiudendo gli occhi, sono tornata bambina, ma non solo. Era ottobre. Quella tonalità di luce calda, ma raccolta, che pervade l'aria di un languore d'autunno, filtrava attraverso le tapparelle e sembrava danzare sulla parete. Alla mia sinistra il grembiule, il fiocco e la cartella. Tutto nuovo, lustro per quel mio primo giorno di scuola. E, annidata dentro, la paura di un cambiamento che mi avrebbe strappato all'asilo delle suore, ai compagni che conoscevo, ai giochi sotto il sole nel cortile che lasciva intravedere l'ossatura di due case bombardate.
E quell'odore che annusavo era odore di libri e quaderni intonsi, lo stesso che ritrovavo nello sfarfallio delle pagine fresche di stampa del libro che tenevo tra le mani, ma era anche odore di scuola... La scuola che sarebbe stata il fondale privilegiato - con il suo rituale di campanelle che squillavano a sancirne la cadenza dei tempi e la polvere di gesso che ti entrava nelle narici - di tanta parte della mia vita.
L'ho lasciata così come si lascia un amore, conservando sulla pelle l'estraneità di quell'ultimo sguardo che ci scivola addosso, e che ci riconsegna all'anonimato della folla. Con dolore, ma anche con rabbia. Profonda, e mai più tirata fuori.
Ho scritto in un post su Vibrisse, per la prima volta dopo anni, qualcosa sulla scuola e, oggi, ho sentito di quella rabbia il sapore aspro e la necessità di tirarla fuori per evitare che si depositi come la cenere di un'eruzione vulcanica a sommergere per sempre quella parte, non certo di poco peso, di me e della mia vita che ho dedicato al mio lavoro. Un lavoro difficile, poco riconosciuto, ritenuto (dando prova d'ignoranza) poco impegnativo, sia per la limitatezza delle ore fuori casa, sia perché fatto di chiacchiere...
Quando un'attività lavorativa viene abbandonata in massa dai maschi è segno che è diventata scarsamente remunerativa, di poco prestigio. E' successo anche nell'insegnamento, ma la scuola è un settore delicatissimo: non è soltanto istruzione, è anche educazione che deve afffiancarsi, non potendo però mai sostituirsi, a quella impartita dalla famiglia. I ragazzi, anche i più annoiati, disinteressati e svogliati, guardano noi adulti con una costante e incredibile attenzione. Ci guardano e ci ascoltano, pronti a cogliere immediatamente la discordanza tra le nostra affermazioni e le nostre azioni. Un atteggiamento ingiusto o scorretto li ferisce, anche se paradossalmente lo cercano a parziale giustificazione delle loro scorrettezze. Commetterne, per un insegnante, è molto peggio che sbagliare un esercizio. E' tradirli.
E loro reagiscono come sanno, come possono, con gli strumenti che hanno a disposizione, sottraendosi alla fatica dello studio (perchè l'apprendimento è fatica, è costanza, è ripetitività) con la scusa della scarsa utilità del titolo di studio.
Sanno che trovare un lavoro è ormai come vincere un premio alla lotteria, che l'impegno e le capacità non sono riconosciuti e che sarà il mercato a decidere della loro vita, un mercato finalizzato al profitto (e nella combinazione produttiva la componente lavoro dovrà essere sempre più compressa a livello sia quantitativo sia qualitativo) e inficiato da clientelismi e scandali che i mezzi d'informazione scaricano sulle loro menti che, poco abituate alla revisione critica, si pappano tutto per oro colato. Poco seguiti dalle famiglie, a contatto con un corpo docente che ha tutte le giustificazioni per essere demotivato, vanno alla deriva, come balenotteri destinati a naufragare in acque basse... Non tutti ma tanti, troppi, e nell'indifferenza generale, mentre dagli schermi televisivi Pinocchio, il cui naso anche se fasciato continua a crescere, li guida, come un pifferaio magico, verso il paese, scintillante di luci e promesse, di Bengodi.

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