"El xe un dei mati..." Di solito era sufficiente questa informazione a tranquillizzare i passanti o gli avventori di un bar quando, a Trieste, incrociavamo qualcuno un po' più incerto, traballante, lo sguardo che si puntava, indagatore, sul mondo che lo circondava come se lo vedesse per la prima volta. La città aveva seguito con un certo allarme e alcune polemiche il cambiamento che aveva spazzato via, quasi la bora si fosse intrufolata a fare piazza pulita, il vecchio regime manicomiale. Un folto gruppo di volontari, studenti, medici e giornalisti si era formato intorno a Basaglia a seguire da vicino e a realizzare un altro spazio di libertà a cui il Sessantotto aveva dato la stura, proponendo un modo assolutamente nuovo di considerare il malato psichiatrico. A Trieste, dove le osterie erano quasi più numerose delle filiali bancarie, molti alcolisti cronici finivano dietro alla rete di recinzione di quel ghetto di violenza, mancanza di rispetto e prepotenza che era il manicomio. Le depressioni femminili, le anoressie nervose e quelli che venivano sbrigativamente definiti "esaurimenti" nell'ignoranza dei familiari, rendendo difficile la convivenza con la persona psichicamente instabile, ne decretavano l'espulsione dal nucleo familiare e poi, frequentemente, la reclusione dietro alla porta di quella "gabia de mati" che era San Giovanni. Io che venivo da Gorizia avevo già visto quello che Basaglia era riuscito a fare in quella città, ma ricordavo anche la bufera di critiche che si era abbattuta su di lui quando uno dei suoi pazienti, durante un permesso, aveva ucciso a martellate la moglie. Tutti gli si erano rivoltati contro: i malati, come avviene generalmente per i diversi, facevano paura e in nome della sicurezza la gente chiedeva che tutto tornasse a essere come prima: i pazzi in gabbia e i sani fuori. Alla conferenza stampa indetta per l'occasione, quel veneziano nella sua parlata molle, strascicata, il volto percorso dai soliti tic nervosi e gli occhi stanchi di chi ha visto la sofferenza, non solo senza distoglierne lo sguardo ma facendosene carico, disse " E' un rischio che la collettività deve... è giusto, si assuma" aggiungendo "siamo tutti potenziali assassini, perché siamo tutti potenziali pazzi. Qualcuno di voi è in grado di indicare con assoluta precisione la linea di demarcazione che divide la salute dalla malattia mentale?" Basaglia della pazzia respirò prima il gusto acre della sofferenza e poi la specificità della malattia avvicinandosi a quegli ultimi degli ultimi con la generosità dell'anima prima di dedicare loro quella del suo tempo e del suo intelletto.
Ieri sera lo sceneggiato "La città dei matti" mi ha commosso, rimescolando ricordi di luoghi e persone. Ambientato a Trieste, la città italiana in cui, abbattuto il confine tra malati e sani, si riuscì a realizzare il sogno di Basaglia, lo sceneggiato si conclude con un'immagine di "matti" liberi a zonzo tra cielo e mare. La legge 180, che avrebbe dovuto assicurare concretezza normativa alla nuova istituzione manicomiale, venne varata prima della morte dello psichiatra anche se il condizionale è d'obbligo perchè la 180 trovò e trova anche oggi notevoli impedimenti sul suo cammino che ne rendono incompleta l'attuazione impedendo la realizzazione del progetto di Basaglia in gran parte del Paese.
Per abbattere i confini è necessario averne vissuto tutta la tragica realtà, il limite, la chiusura... Quale città più della mia Trieste avrebbe potuto farlo?
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