Il silenzio alimenta i segreti, li fa crescere, rendendoli di giorno in giorno più potenti, invincibili perché conservati senza nemmeno sfiorarli, mai!, come trine preziose che l'esposizione alla luce potrebbe far dissolvere - pensò Marilena. Non c'è famiglia che non ne serbi qualcuno, nascosto, come i gioielli di casa, da qualche parte. In fondo, a volerli cercare, si troverebbero e... chissà, portati alla luce, scoperti, si rivelerebbero per ciò che drammaticamente ma realmente sono, smettendo di alimentarsi di fantasie, di costituire alibi, di giustificare un attaccamento al passato dovuto alla mancanza di coraggio che lo sforzo di costruirsi un futuro richiede.
Lei aveva cercato di sapere qualcosa di più sulla morte di Desmo ma, ogni volta che al paese aveva fatto il suo nome, o non aveva ricevuto risposta o si era dovuta accontentare di quella che era, ormai da anni, la versione ufficiale: quella fornita dalla Gendarmeria che aveva indagato sulla morte di Desmo, trovato ucciso nel bosco, colpito da una fucilata alla schiena. E non avevano dato prova di grande fantasia, i gendarmi, incolpando del fatto un improbabile cacciatore che, in quella tersa mattina si primavera avanzata, avrebbe sparato per errore... prendendo quel ragazzone biondo per un fagiano o, data la sua stazza, per un cervo. In campagna!
Certamente Gualtiero sapeva, doveva sapere... e, soprattutto, doveva avere avuto la sua parte di colpa o responsabilità in ciò che era avvenuto. Lei ricordava - erano già fidanzati - che l'unica volta in cui Gualtiero aveva partecipato a una spedizione punitiva contro i "Rossi", era ritornato sconvolto. Sorretto da Desmo, una spalla slogata, fradicio di sudore, si era accasciato sul letto, piombando in un sonno popolato da incubi. Aveva delirato, mormorando frasi sconnesse, bruciato dalla febbre, per tutta la notte, e lei aveva dovuto chiamare il medico, non sapendo più che cosa fare per calmarlo. Il dottor Bergonzi era arrivato appena al mattino, sconvolto dalla stanchezza, borbottando su quella notte d'inferno che l'aveva visto correre da un casolare all'altro a "rappezzare teste". Sì, aveva detto proprio così, aggiungendo, mentre scuoteva quel suo testone calvo, accarezzandolo con la mano "E servirà a ben poco, perché io posso aggiustare teste, non cambiare ciò che contengono e il male peggiore è rintanato lì ed è incurabile".
(continua... )
http://falilulela.blogspot.com/2011/07/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_23.html
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